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Il decreto “Cura Italia” conferma che lo smart working è regola

L’emergenza impone e travolge.

Impone ciò che sinora è stato respinto pervicacemente e capziosamente dalle singole amministrazioni.

Travolge i limiti posti dalle rare regolamentazioni in materia, volte, più che a disciplinare, a contenerne il più possibile la diffusione… come se fosse un virus.

Anche le sperimentazioni finiscono qui.

La pubblica amministrazione che ha vissuto con fastidio l’avvento dei titoli abilitativi su base autocertificata (DIA, poi SCIA, mere comunicazioni, ecc.) – che, peraltro, la giurisprudenza ha nel tempo destituito anche di valenza abilitativa – vanificandone gli effetti attraverso prassi “para-autorizzatorie”, come i controlli a tappeto, volti a mantenerne il più possibile integra l’autorità, esplicantesi, spesso, in veri e propri abusi dei suoi funzionari-gendarmi è la stessa che ha eretto a proprio vessillo il motto “vada retro lavoro agile”, mentre oggi s’aggrappa allo smart working, come ancora di salvezza per poter dare continuità all’azione amministrativa, quando tutto intorno collassa.

 

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