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Il gioco d’azzardo: un’attività legale, una malattia, un affare per la criminalità organizzata

Un recente caso di cronaca nel Trevigiano, riportato dalla stampa locale, uno dei tanti episodi purtroppo spesso passato sotto silenzio, che registra l’arresto di una donna di 51 anni perché accusata di una serie di aggressioni ripetute nei confronti del convivente, che ha avuto il volto deturpato da una miscela di acqua e acido, come ritorsione per il fatto che l’uomo si sarebbe rifiutato di darle ancora del denaro per far fronte al vizio del gioco di cui la donna è vittima, ripropone un tema che dovrebbe far riflettere molto.

L’Italia rappresenta uno dei mercati nell’Unione Europea con la più elevata crescita nel settore del gioco.

L’accentuata inclinazione al gioco degli italiani, la moltiplicazione dell’offerta qualitativa e quantitativa dei giochi on line, e la diffusione capillare di Internet, sostengono, in particolare, la crescita del gioco in versione on line.

Il tema è tornato di estrema attualità poiché nel recente decreto liberalizzazioni, in fase di conversione in legge, non è stata specificata una riserva per quanto riguarda il gioco d’azzardo, per cui diventa prevedibile una ulteriore ed aggressiva espansione del mercato del gioco, senza regole e senza controlli.

Senza una disciplina specifica, dunque, basterebbero astratti requisiti per aprire sale gioco, con una semplice comunicazione l’attività può iniziare e le macchine posso essere installate anche in attività già esistenti.

Alcuni parlamentari si sono fatti promotori di specifici emendamenti al D. L. 1/2012.

Anche le anticipazioni sui contenuti del decreto sulle semplificazioni fiscali, che dovrebbe essere esaminato venerdì 24 febbraio dal Consiglio dei Ministri, fanno ben sperare su un inasprimento dei controlli nei locali dove si effettuano scommesse o sono installati apparecchi che consentono il gioco d’azzardo.

La bozza di decreto fa riferimento a:

a) Operazioni di gioco a fini di controllo: Gli appartenenti all’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato saranno autorizzati ad effettuare operazioni di gioco presso locali in cui si effettuano scommesse o sono installati apparecchi per il gioco, al solo fine di acquisire elementi di prova in ordine alle eventuali violazioni in materia di gioco pubblico, ivi comprese quelle relative al divieto di gioco dei minori. Per effettuare le medesimi operazioni di gioco, l’autorizzazione è estesa al personale della Polizia di Stato, all’Arma dei carabinieri, al Corpo della Guardia di Finanza, di concerto con le competenti strutture dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato.

b) Documentazione antimafia per il settore dei giochi: La documentazione deve riferirsi anche al coniuge, nonché ai parenti e agli affini entro il terzo grado dei soggetti ivi indicati.

c) Divieto per la partecipazione a gare e di rilascio o mantenimento di concessioni in materia di giochi pubblici: Il divieto di partecipazione a gare o di rilascio o rinnovo o il mantenimento delle concessioni di cui ai periodi precedenti opera anche nel caso in cui la condanna, ovvero l’imputazione o la condizione di indagato sia riferita al coniuge, nonché ai parenti ed affini entro il terzo grado dei soggetti ivi indicati

La dipendenza dal gioco e dal gioco d’azzardo in particolare, il controllo da parte della criminalità organizzata di stampo mafioso di questo settore ma anche il disagio sociale e l’impoverimento delle famiglie che spesso finiscono per diventare vittime di questo business sempre più gestito dai clan, devono allarmare e richiedere interventi tempestivi. Come risulta dai dati della Dda, “Oltre il 50% del guadagno del gioco d’azzardo viene dalle macchinette poste nei bar e nelle sale da gioco, per questo la criminalità organizzata sta investendo sempre di più in questo settore” con una vera e propria invasione di slot machines nelle città italiane: circa 400mila, in pratica una ogni 150 abitanti.

Ma come fanno i clan a lucrarci così tanto? In Italia il comparto legale del gioco è affidato a 10 concessionarie, ognuna con la propria rete telematica, grazie alla quale lo Stato dovrebbe poter controllare le giocate e applicare la tassa prevista del 12%.

Succede però che la criminalità organizzata manomette queste macchinette scollegandole dal monopolio, così la tassa del 12% non va più allo Stato e i guadagni dei clan si impennano.

In molte situazioni il fenomeno è collegato alla piaga dell’usura con conseguenze gravissime sulle persone e sulle famiglie. I casi di disperazione con esiti anche tragici sono innumerevoli.

Nel 2010 varie procure della Repubblica hanno effettuato indagini sul fenomeno in 22 città con operazioni delle forze di polizia che hanno portato ad arresti e sequestri direttamente riferibili alla criminalità organizzata.

Attingendo ai dati di un dossier molto documentato, presentato recentemente da “Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie” viviamo in “un paese dove si spendono circa 1260 euro procapite, (neonati compresi) per tentare la fortuna che possa cambiare la vita tra videopoker, slot-machine, gratta e vinci, sale bingo. E dove si stimano 800mila persone dipendenti da gioco d’azzardo e quasi due milioni di giocatori a rischio”.

Un fatturato legale stimato in 76,1 miliardi di euro, a cui si devono aggiungere, mantenendoci prudenti, i dieci miliardi di quello illegale.

L’ultima inchiesta in ordine di tempo dello scorso 30 novembre a Milano coordinata dal pool di Ilda Boccassini – si legge nel dossier di Libera – ha rilevato come il clan Valle-Lampada, impegnato secondo gli investigatori anche in Calabria in affari con i Condello, tramite quattro società aveva collocato slot machine e videopoker in 92 locali di Milano e provincia, per un totale di 347 macchinette. Con ricavi tra i 25 mila ed i 50 mila euro al giorno, di cui una parte consistente doveva finire nelle casse erariali.

Ma di fatto le macchinette installate erano fuori norma e al Monopolio venivano trasmessi dati falsi.

La sanzione dell’AAMS (Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato) in questi casi è di mille euro al giorno.

Secondo una Ricerca nazionale sulle abitudini di gioco degli italiani del novembre 2011 curata dall’Associazione “ Centro Sociale Papa Giovanni XXIII”, e coordinata dal CONAGGA (Coordinamento Nazionale Gruppi per Giocatori d’Azzardo, costituito da Enti diffusi su tutto il territorio nazionale che da anni si occupano di interventi sulla dipendenza da gioco d’azzardo), volta ad indagare le abitudini al gioco d’azzardo è stimato che in Italia vi siano 1 milione e 720 mila giocatori a rischio e ben 708.225 giocatori adulti patologici, ai quali occorre sommare l’11% dei giocatori patologici minorenni e quelli a rischio.

Il che significa che vi sono circa 800 mila dipendenti da gioco d’azzardo all’interno di un’area di quasi due milioni di giocatori a rischio.

I giocatori patologici dichiarano di giocare oltre tre volte alla settimana, per più di tre ore alla settimana e di spendere ogni mese dai 600 euro in su, con i due terzi di costoro che addirittura spendono oltre 1.200 euro al mese.

Il quadro che emerge da questo dossier e prim’ancora dalla ricerche e dalla relazioni sul mercato dei giochi e delle scommesse (da quella della Direzione nazionale antimafia a quella della Commissione parlamentare antimafia) sollecita, insomma, una risposta adeguata da parte di tutti, a cominciare dalle istituzioni e da chi le governa.

Senza evocare scenari proibizionistici e senza colpevolizzare chiunque operi in questo settore.

Anzi: proprio alle imprese più importanti e significative e a chi gestisce queste attività in maniera lecita è richiesta, oggi, una chiara e netta assunzione di responsabilità.

Si tratta d’intervenire insieme e quanto prima possibile su tutti i versanti di questa vera e propria calamità, economica e sociale: quello normativo, per rendere più efficace il sistema delle autorizzazioni, dei controlli e delle sanzioni; quello educativo e d’informazione, rivolto soprattutto ai più giovani; quello di prevenzione e cura delle patologie di dipendenza dal gioco; quello culturale e formativo, che chiama in causa gli stessi gestori delle attività lecite”.

Che il gioco d’azzardo diventi l’unico momento in cui è possibile distrarci dalle pene quotidiane, fantasticando vincite milionarie, è un segno allarmante della perversione del senso comune e dell’immaginario collettivo.

Se poi tutto questo avviene con la complicità dello Stato, che ricava cospicue somme di denaro in cambio delle varie concessioni al gioco d’azzardo, come scrive Pietro Barcellona, è un fatto di enorme gravità, specie in un momento in cui ufficialmente si chiede a ciascuno di noi di accettare sacrifici rilevanti delle proprie risorse economiche.

Il gioco d’azzardo è stato trasformato, attraverso la complicità dello Stato, in un coinvolgimento di massa di tutti i ceti sociali, e mentre nelle culture passate il giocatore d’azzardo veniva considerato un avventuriero dissipatore, oggi un ragazzo o una ragazza che bruciano soldi nelle macchine istallate un po’ dovunque non vengono considerati neppure soggetti a rischio.

Il rischio di essere intossicati dall’ansia del gioco fino a perdere ogni contatto con la propria realtà.

Uno Stato che impone sacrifici in nome del primato dell’economia di mercato è francamente assai contraddittorio con uno Stato che invita a giocare sulla ruota della fortuna ogni spiraglio di attesa e speranza in un mondo migliore.

Si può concludere con le domande e riflessioni che pone il CONAGGA:

Se emerge che i giovanissimi passano molto tempo a giocare d’azzardo per “passare il tempo”…

Se emerge che coloro che sono più poveri e di ceto più basso giocano maggiormente d’azzardo…

Se emerge che 1.400.000 persone in Italia rischiano di avere una dipendenza da gioco d’azzardo…

Se emerge che il gioco d’azzardo riguarda tutti: giovani e vecchi, uomini e donne, lavoratori studenti e disoccupati…

E’ possibile che lo Stato decida di non intervenire a contrasto di tutto questo?

O quanto meno per ridurre il danno che i giochi che ha legalizzato e promosso stanno facendo?

di Carlo Rapicavoli

Fonte: LeggiOggi


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