Autorizzazione comunale per lettini abbronzanti

Consiglio di Stato 4/8/2014

Ai sensi dell’art. 1, legge 4.1.1990, n. 1, tuttora in vigore, la messa a disposizione della clientela di un lettino abbronzante è riconducibile all’attività di estetista, in quanto consiste in una prestazione o trattamento eseguito sulla superficie del corpo umano con apparecchi elettromeccanici per uso estetico e richiede l’ottenimento di un’autorizzazione comunale, rilasciata previa verifica della qualifica professionale degli addetti alle apparecchiature al fine di tutelare la salute e la sicurezza di coloro che si sottopongono al trattamento abbronzante. La stessa legge prevede, all’art. 10, comma 1, l’emanazione da parte del Ministro dell’industria di un decreto recante norme dirette a determinare le caratteristiche tecnico-dinamiche ed i meccanismi di regolazione, nonché le modalità di esercizio e di applicazione e le cautele d’uso degli a pparecchi elettromeccanici di cui all’elenco allegato alla legge; ebbene, il previsto decreto di attuazione ha incluso le lampade abbronzanti Uva, senza operare distinzioni di sorta fra macchinari di maggiore o minore semplicità di utilizzo. Come peraltro ha specificato anche di recente la Cassazione civile (sez. III, 2.3.2012, n. 3244), la messa a disposizione della clientela di lampade Uva è riconducibile all’attività di estetista, in quanto questa consiste in una qualsiasi prestazione o trattamento eseguito sulla superficie del corpo umano, non solo con tecniche manuali, ma anche con apparecchi elettromeccanici per uso estetico, e richiede l’ottenimento di un’autorizzazione comunale rilasciata previa verifica della qualifica professionale degli addetti alle apparecchiature al fine di tutelare la salute e la sicurezza di coloro che si sottopongono al tra ttamento abbronzante. Lo svolgimento dell’attività in carenza di tale autorizzazione costituisce illecito amministrativo ed espone chi lo commette all’ordine di sospensione dell’attività di estetista, come definita dall’art. 1 della legge 4.1.1990, n. 1, che non può essere svolta in assenza del titolo abilitativo previsto dalla legge. Infatti, la messa a disposizione della clientela di lampade Uva richiede il possesso di tale qualifica anche se, nella specie, il cliente le utilizzi direttamente ed autonomamente: chi decide di servirsi di dette apparecchiature ripone infatti un legittimo affidamento sull’esistenza della relativa specializzazione professionale in capo al personale che gestisce l’esercizio. Tra l’altro, la possibilità del cliente di accendere, applicarsi e spegnere il macchinario, non significa che tale macchinario sia a disposiz ione dell’utenza in una sorta di “fai da te”. Anche a voler ammettere che i macchinari di bellezza potrebbero essere acquistati direttamente da qualsiasi cliente ed utilizzati a domicilio, ciò non toglie che allorquando il cliente stesso decida di servirsi di quei medesimi macchinari all’interno di un centro che comunque si rivolga alla cura della persona, egli è autorizzato a presumere una specializzazione professionale in capo al personale che gestisce i locali (altrimenti correndo il rischio, per la propria inesperienza, di arrecare danno a se stesso per il non adeguato uso del macchinario). Ciò comporta che, al contrario dell’uso domestico, ove prevale la necessaria e consapevole autoresponsabilità dell’utente (fermi restando gli obblighi di informativa da allegare al prodotto), nell’ipotesi di fruizione presso strutture dedicate, il c liente può riporre un affidamento di altrui vigilanza tecnica sulle modalità d’uso del macchinario, a prescindere dal fatto che gli sia consentita la personale “gestione” dei comandi base del macchinario stesso; sussiste dunque in tal caso una ragionevole presunzione di consapevolezza che errori, abusi ovvero anche semplici inesattezze di utilizzo, possano essere subito corretti o prevenuti con l’assistenza degli addetti qualificati, pronti ad intervenire in un contesto di doverosa sorveglianza sulla clientela impegnata nelle applicazioni (si pensi al caso di esposizione prolungata ai raggi attraverso imprudenti ripetizioni delle applicazioni stesse). E tali interventi – per la legislazione vigente – vanno effettuati da personale dotato di qualifica di estetista. Peraltro, il fatto che quei macchinari insistano all’interno di un circolo privato non inc ide sulle considerazioni di cui sopra, atteso che, nella sostanza, offrendo ai soci un trattamento estetico a tutti gli effetti, si pone in essere un’attività che è assimilabile all’esercizio al pubblico di un attività protetta per ragioni di salute e di sicurezza il cui esercizio resta subordinato, per legge, alla sussistenza delle condizioni dell’esistenza di un soggetto munito del titolo professionale di estetista e dell’ottenimento di specifica autorizzazione amministrativa. Del resto, la qualificazione professionale di estetista si intende acquisita mediante il superamento di un esame, preceduto dallo svolgimento di un apposito corso, nell’ambito del quale una delle materie fondamentali di insegnamento tecnico-pratico riguarda, per l’appunto, gli apparecchi elettromeccanici (cfr. art. 6, comma 3, lett. f), legge 1/1990) . Situazione diversa – che però non potrebbe consentire l’elusione delle disposizioni pubblicistiche – potrebbe prospettarsi nell’ipotesi in cui ciascun socio si porti da casa la propria lampada abbronzante. Nel caso di specie, l’offerta indistinta di lampade Uva concreta nella sostanza un’attività estetica, a prescindere dalla forma giuridica con la quale viene posta in essere, attività che incorre in concreto nelle disposizioni stabilite dalla legge e sopra indicate. Il fatto che l’attività venisse svolta in modo minoritario e marginale rispetto all’attività principale, peraltro, in nulla svilisce l’antigiuridicità di quelle applicazioni abbronzanti, a prescindere dalla percentuale di rilevanza all’interno del circolo: l’art. 1 della cit. legge n. 1 del 1990 non pone infatti alcun limite minimo sot to il quale legittimare aliunde un’attività svolta in difetto dei dovuti requisiti.

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