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Orario apertura negozi - Il documento della Conferenza delle Regioni

Il 9 maggio la Conferenza delle Regioni ha approvato un documento sulla proposta di testo unificato in discussione alla Camera in materia di disciplina degli orari di apertura degli esercizi commerciali al dettaglio.

Si riporta di seguito il testo integrale trasmesso alla Presidente della commissione Attività produttive della Camera, Barbara Saltamartini).
Posizione sulla proposta di testo unificato del relatore recante: “Modifica all’articolo 3 del decreto-legge 4 luglio 2006, n.223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n.248, in materia di disciplina degli orari di apertura degli esercizi commerciali al dettaglio”
Audizione dei rappresentanti della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome presso la Commissione Attività Produttive della Camera dei Deputati – 8 maggio 2019
Le Regioni ritengono di formulare le seguenti osservazioni in merito al testo unificato in materia di orari di apertura degli esercizi commerciali.
In primo luogo, occorre premettere che l’enunciata finalità della legge di garantire il principio costituzionale del riposo settimanale dei lavoratori del comparto del Commercio è perseguita con uno strumento inadeguato, in quanto gli orari di vendita dei negozi sono cosa differente dagli orari di lavoro degli addetti, regolati, questi ultimi, non già dalle leggi del commercio, ma dalla contrattazione tra le parti, secondo l’apposita legislazione lavoristica. In proposito, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 150/2011, proprio in riferimento al settore lavoro/contratti collettivi, ha rimarcato che la legislazione del commercio non può invadere campi spettanti ad altri settori dell’ordinamento giuridico, in quanto “la disciplina dell’orario di lavoro, dei giorni di riposo e della turnazione nelle giornate di lavoro festivo e domenicale è rimessa alla contrattazione delle parti, salvi i limiti stabiliti dal legislatore statale con il d.lgs. 8 aprile 2003, n. 66 (Attuazione della direttiva 93/104/CE e della direttiva 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro)”.
Si rileva inoltre la gravità della prevista abrogazione dell’intero art. 31 del D.L. 201/2011, che comporterebbe il venir meno anche del comma 2 dell’articolo che, tra l’altro, recita: “Secondo la disciplina dell’Unione Europea e nazionale in materia di concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi, costituisce principio generale dell’ordinamento nazionale la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente, ivi incluso l’ambiente urbano, e dei beni culturali”.
La portata dell’art. 31 pertanto è ben più vasta rispetto all’ambito degli orari delle attività commerciali, riguardando, per contro, l’intero sistema delle liberalizzazioni delle attività: il comma 2 dell’art. 31, come sopra richiamato, sancisce i principi generali dell’ordinamento nazionale in materia di liberalizzazioni delle attività commerciali, peraltro richiamati e ribaditi nei successivi interventi legislativi nazionali (cfr. D.L. 1/2012, D.L. 5/2012, D.lgs 147/2012) rispetto ai quali le Regioni hanno dato attuazione nei propri ordinamenti giuridici.
Con la proposta abrogazione viene ad essere minato in radice il sistema della liberalizzazione, ivi compreso il divieto di porre limiti quantitativi all’insediamento delle attività.
Sul punto, occorre inoltre ricordare che le norme comunitarie sono direttamente applicabili in quanto finalizzate a dare attuazione ai principi del trattato istitutivo dell’Unione, entrando a far parte del nostro ordinamento in posizione gerarchicamente sovraordinata rispetto alle norme interne, tanto di rango primario quanto, e a fortiori, di rango secondario. Inoltre, costituisce ormai assunto della giurisprudenza comunitaria quello per cui, in caso di contrasto tra norme nazionali e norme comunitarie cd. “autoesecutive” queste ultime debbano prevalere, per cui il giudice nazionale ha l’obbligo di disapplicare all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione nazionale in contrasto con la normativa comunitaria senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale.
Di conseguenza, occorre ribadire come l’abrogazione dell’art. 31 non debba assolutamente intendersi come possibilità di introduzione nelle normative regionali di vincoli vietati dalle norme comunitarie.
Venendo all’analisi puntuale della PdL, si rileva che:
1) l’art. 1 del testo sottopone in via generale al rispetto degli orari di cui all’art. 11, comma 2, del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114, gli esercizi al dettaglio nei quali si svolgono le attività commerciali individuate dall’art. 4, comma 1, lettera b), dello stesso d. lgs., che a sua volta definisce il commercio al dettaglio come “l’attività svolta da chiunque professionalmente acquista merci in nome e per conto proprio e le rivende, su aree private in sede fissa o mediante altre forme di distribuzione, direttamente al consumatore finale”.
Tra le “altre forme di distribuzione” vi sono le “forme speciali di vendita al dettaglio” di cui all’art. 4, comma 1, lettera h, del d. lgs. 114/1998, che comprendono:
1) la vendita a favore di dipendenti da parte di enti o imprese, pubblici o privati, di soci di cooperative di consumo, di aderenti a circoli privati, nonché la vendita nelle scuole, negli ospedali e nelle strutture militari esclusivamente a favore di coloro che hanno titolo ad accedervi;
2) la vendita per mezzo di apparecchi automatici;
3) la vendita per corrispondenza o tramite televisione o altri sistemi di comunicazione;
4) la vendita presso il domicilio dei consumatori.
Dalla lettera della legge sembrerebbe che la disciplina degli orari debba applicarsi anche alle attività sopra elencate, il che appare incompatibile con le caratteristiche delle stesse, soprattutto per quanto riguarda il commercio on-line, rispetto al quale risulterebbe complicato il sistema di controllo sul rispetto dei limiti di orario. In assenza di una disciplina di coordinamento che appare necessario per superare eventuali distorsioni, paradossalmente la limitazione delle giornate di apertura per gli esercizi commerciali di tipo tradizionale rischia proprio di favorire ed incentivare gli acquisti on-line a scapito delle predette forme di vendita, contraddicendo di fatto la finalità della norma.
2) Lo stesso art. 1 esclude dal rispetto degli orari, oltre alle attività degli autosaloni e degli esercizi commerciali al dettaglio ubicati nelle autostazioni, nei parchi divertimento, negli stadi e nei centri sportivi, tutte le ipotesi di cui all’art. 13 del d. lgs. 114/1998. Quest’ultimo richiamo appare anacronistico, in quanto tale articolo è per certi versi obsoleto (si pensi al richiamo alla vendita di dischi, nastri magnetici, musicassette, videocassette), necessitando, per altri aspetti, di interventi correttivi (si pensi alla dizione “(…) le attività di vendita (…) siano svolte in maniera esclusiva e prevalente”, nella quale alla congiunzione “e” andrebbe sostituita la congiunzione “o”) che ben avrebbero potuto essere effettuati in questa sede.
Per quanto riguarda gli altri casi di esclusione, se l’elencazione è tassativa allora è lacunosa, perché sono sempre più numerose le attività di vendita ad un pubblico selezionato congiunte ad altre attività (artigianali, di servizio, di spettacolo, strutture ricettive). Se invece è esemplificativa della casistica delle vendite abbinate ad altro e riservate ai fruitori di altro servizio, bisognerebbe rendere l’elencazione esemplificativa.
Infine, nessuna disposizione derogatoria è prevista per strutture commerciali come gli outlet e i grandi negozi di bricolage, di medie e grandi dimensioni e collocati fuori dai centri storici, i quali verrebbero fortemente penalizzati dall’obbligo di chiusura domenicale e festiva, perdendo molta parte del loro giro di affari.
3) La PdL presenta incongruenze sotto il profilo giuridico, là dove prevede l’applicazione delle disposizioni in materia di orari agli esercizi di vicinato se collocati all’interno di un centro commerciale oppure all’interno di una media o di una grande struttura di vendita: queste ultime due ipotesi sono di difficile comprensione, in quanto non si vede come un esercizio di vicinato possa essere incluso in un’altra struttura di vendita che non sia un centro commerciale.
In ogni caso, sarebbe opportuna una riscrittura più chiara del nuovo comma 1-quater dell’art. 3 del D.L. 223/2006, la cui lettura appare farraginosa.
4) Le disposizioni della PdL potrebbero determinare una violazione del principio di uguaglianza e della tutela della concorrenza, a causa del differente regime applicato agli esercizi di vicinato rispetto alle medie e grandi strutture di vendita e agli esercizi commerciali collocati nei centri storici, rispetto a quelli posti al di fuori.
5) Critico il ruolo delle Regioni, chiamate ad effettuare scelte in materia di deroghe alle chiusure domenicali e festive a seguito di complesse intese annuali, da contestualizzare in una pianificazione triennale di difficile inquadramento concettuale. Il sistema di individuazione delle deroghe appare inoltre piuttosto velleitario in quanto:
– lo strumento dell’intesa male si adatta a una materia fortemente conflittuale come quella degli orari del commercio, caratterizzata da interessi intrinsecamente diversificati;
– le intese, prevedibilmente difficili da raggiungere, porranno altrettanto prevedibili criticità sul piano della loro concreta attuazione;
– oltre agli interessi di categoria, fortemente conflittuali, dovranno armonizzarsi nell’intesa anche i contenuti dei piani di coordinamento degli orari, di competenza comunale, ai sensi dell’art. 50 del d. lgs. 267/2001;
– lo strumento della pianificazione triennale a livello regionale appare di difficile inquadramento sotto il profilo giuridico nei suoi contenuti, non essendo chiara la sua funzione rispetto ai calendari oggetto delle intese annuali, oltre che rispetto alle competenze comunali ai sensi del richiamato art. 50 del d. lgs 267/2001. Appare inoltre riduttiva la previsione per la quale i piani triennali regionali tengono in considerazione, quale unico criterio, le “esigenze della clientela rispetto alle diverse categorie merceologiche”, in quanto viene in tal modo  trascurato l’aspetto logistico del commercio: manca infatti ogni riferimento, neppure quale variabile da poter considerare in sede locale/regionale, alla vocazione turistica o artistica dei luoghi del commercio, oltre che alla collocazione geografica o alla prossimità ad altre Regioni;
– non è chiarito con quale atto formale si estrinsechi l’intesa Regione-Enti locali né, qualora tale intesa non si raggiunga, se debba prevalere la volontà regionale;
– l’impronta centralizzata delle intese mal si adatta alle discipline vigenti in molte Regioni, improntate al trasferimento delle funzioni amministrative in capo al Comune, in ossequio ai precipui principi costituzionali di sussidiarietà e decentramento.
Si rileva inoltre come, pur non essendo previsto un Osservatorio regionale, necessariamente dovranno essere realizzate idonee azioni di monitoraggio, sia in riferimento agli adempimenti di pianificazione e definizione dei calendari annuali attribuiti alle Regioni, sia in vista della prevedibile interazione con l’Osservatorio nazionale, in relazione alla partecipazione regionale al tavolo ministeriale.
Infine, il sistema delle intese e della pianificazione a livello regionale, con i conseguenti adempimenti previsti a carico delle Regioni, indurranno una prevedibile, persistente, ricaduta sugli apparati regionali, in termini di impiego delle risorse oltre che di tempo necessario agli adempimenti previsti, mentre la mancanza di chiarezza dei contenuti produrrà un prevedibile alto livello di criticità interpretative ed applicative.
In conclusione: si ritiene che il sistema di regolamentazione proposto conduca in definitiva al ripristino dello status quo ante liberalizzazione, con la complicanza data da un sistema di regolazione poco funzionale, quantomeno, rispetto agli obiettivi di semplificazione ed efficienza teorizzati, secondo le tendenze normative in atto a livello comunitario e nazionale, nel comparto della distribuzione commerciale.
Di seguito si riportano le posizioni specifiche assunte dalle Province Autonome di Trento e di Bolzano.
Posizione Province autonome di Trento e di Bolzano
In via prioritaria le Province autonome di Trento e di Bolzano chiedono che il testo in discussione includa il seguente passaggio di modo da consentire alle stesse- vista la loro specificità – di poter legiferare pienamente in materia di orari:
Le province autonome di Trento e di Bolzano possono disciplinare con proprie leggi gli orari di apertura e di chiusura degli esercizi di commercio al dettaglio e degli esercizi di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, tenendo conto delle peculiarità socio-culturali, ambientali e dell’attrattività turistica dei propri territori. Gli esercizi di commercio al dettaglio osservano la chiusura domenicale e festiva, con facoltà di deroga oggetto di specifica disciplina provinciale.”.
Posizione della sola Provincia Autonoma di Bolzano
Si ritiene, inoltre, che nessuna tipologia di esercizio commerciale, ovunque ubicato, debba derogare alla chiusura obbligatoria nei giorni festivi (12 festività nazionali, di cui fino a 4 derogabili) ed alla chiusura obbligatoria domenicale (derogabile da un minimo di 8 ad un massimo di 26 domeniche) determinate dalle Province autonome. Si chiede, quindi, che dall’art. 1 del testo in discussione venga stralciato il comma 1-quater;
Considerato che una delle finalità del provvedimento in discussione è la tutela/rivitalizzazione dei centri storici/abitati, costituiti essenzialmente nella Provincia autonoma di Bolzano da esercizi commerciali di piccole dimensioni, si chiede che l’articolo 1, 1-octies venga modificato come segue:
I proventi delle sanzioni amministrative di cui ai commi 1-sexies e 1-septies sono devoluti ai comuni, quando le violazioni siano accertate da funzionari, ufficiali ed agenti dei comuni medesimi. I proventi delle sanzioni amministrative sono destinati ad azioni di contrasto dell’abusivismo commerciale, ad azioni di promozione del decoro urbano ed alla rivitalizzazione e riqualificazione del commercio al dettaglio di vicinato”.

La prevista abrogazione dell’intero articolo 31 del d.l. n. 201/2011 appare presentare profili di incostituzionalità, nonché non essere funzionale alla ratio dell’intervento normativo che riguarda per l’appunto gli orari degli esercizi commerciali e non la pianificazione urbanistica/commerciale di competenza regionale/provinciale.


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