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Alcuni appunti e annotazioni sulla Scia

Fa ancora parlare di sé e ancora farà parlare, perché l’inquadramento dell’istituto presenta alcuni profili di novità che non sono ancora stati, ovviamente, bene assimilati dagli operatori e non sono inquadrabili in modalità conosciute.
Per spiegarmi meglio: la Scia, disciplinata dall’articolo 19 della legge 241/1990, prevede, al contrario di quanto avveniva con la Dia, che, nel caso in cui la stessa non sia presentata in conformità alle disposizioni vigenti, che possa essere conformata, successivamente, dal privato, ove possibile.
È chiaro che questa dicitura presenta non poche profili di perplessità.
Anzitutto occorre capire cosa si intenda per “conformare”.
Sino ad oggi si tendeva ad assimilare il titolo autodichiarato a quello rilasciato dalla p.a. In altre parole la Dia non era altro, per tradizione, che una autorizzazione amministrativa sostituita da una dichiarazione del privato, sulla quale, comunque, poteva intervenire l’amministrazione chiedendo pareri, integrazioni documentali e, infine, completando l’istruttoria che il privato non era stato in grado o non aveva provveduto a terminare.
Pertanto l’istituto, pur di natura privatistica, aveva finito per diventare, ed essere, una commistione di attività private e pubbliche, per rappresentare una istruttoria compiuta dal privato e poi corretta dalla pubblica amministrazione che interveniva, a cose già avvenute, cioè dopo la presentazione presso la p.a., su un documento che avrebbe dovuto essere già perfetto, nel senso latino del termine, cioè compiuto, finito.
Ciò che doveva essere un istituto di semplificazione (si veda il titolo della legge che inserisce l’articolo 19 nel capo dedicato alla semplificazione amministrativa) era diventato un rapporto pubblico – privato di altro tipo, rispetto al tradizionale e più garantista della domanda e risposta.
Il privato non era investito di tutta la responsabilità attinente ad un atto autodichiarato, ma vi era una posizione attenuata di responsabilità; si poteva completare la dichiarazione anche in un momento successivo, in corso d’opera, con modifiche, valutazioni, cambiamenti, integrazioni che avevano finito per condurre, dal punto di vista sostanziale, ad un atto di natura ibrida. Inoltre, dal punto di vista processuale, aveva portato ad una forma di atto a formazione progressiva o, addirittura, di natura pubblicistica (autorizzazione implicita), per poter consentire la difesa in giudizio, cioè l’impugnabilità diretta dello stesso da parte dei terzi.
Oggi la Scia è qualcosa di completamente diverso.
È la Dia diventata adulta. Prima era adolescente e non si poteva darle tutti gli oneri, si doveva ancora condurre per mano e la responsabilità della istruttoria era equamente divisa tra pubblico e privato.
Addirittura si legge, in alcuni ricorsi, che l’amministrazione non ha dato risposta alla dichiarazione del privato!
Non so se coloro che abbiano scritto queste cose si siano letti; sarebbe preoccupante che lo avessero fatto e lasciato i loro scritti tali e quali.
Sarebbe come se ci aspettassimo che la folla davanti a San Pietro, la domenica mattina, all’Angelus, rispondesse alle dichiarazioni del Papa.
Non voglio fare un paragone blasfemo ma solo far capire la enormità dell’assunto di dover dare una risposta ad una dichiarazione.
O se un testimone in tribunale dovesse avere risposta a quanto racconta sotto giuramento: e da chi?
Peraltro la legge 241/1990 obbliga la p.a. a rispondere alle istanze di parte e non alle dichiarazioni.
Ma per anni è invalso questo uso, che ha portato a fare della Dia un atto ibrido.
Il legislatore del decreto sviluppo ha portato, invece, l’istituto di semplificazione molto più in là, fino a definirlo un atto privato (articolo 19, comma 6-ter, introdotto con la legge 138/2011) cioè un atto su cui la p.a. non deve e non può fare nulla perché non ne ha la competenza e il potere.
Tanto è vero che l’invenzione dell’istituto della conformazione dice che “il privato deve conformare, se possibile” e non dice che la p.a. obbliga il privato a conformare.
L’iniziativa parte dal privato. La responsabilità è del privato. Se la dichiarazione non va bene si può conformare, ma nei limiti di quanto previsto dalla legge, per cui se la dichiarazione viola la legge stessa (non è veritiera) o non si possa completare non è possibile conformarla.
Questo nuovo istituto non era previsto nella norma precedente, perché la Dia poteva essere integrata, come si è detto.
La Scia non può essere integrata ma conformata. In altre parole se un progetto non è chiaro oppure riporta dei problemi che possono essere cancellati, si può conformare. Se la documentazione non è completa, invece, si può integrare?
Ho letto una interessante digressione nel sito di “marilisa bombi” che riporta il significato, in lingua italiana, tratto dal vocabolario, di “irregolare” e “incompleto”.
Le diciture sono diverse, ma anche la sfera di operatività è diversa.
Irregolare vuol dire che è in contrasto con disposizioni di legge, di regolamento e non è conforme alla norma. Si può regolarizzare? Dipende dal tipo di irregolarità e il caso va esaminato in concreto. La norma dice “conformare ove possibile”.
Cioè si può regolarizzare ove possibile.
Incompleto vuol dire che manca di parti o elementi che sono necessari a formare il tutto. Si può completare in un momento successivo?
Tutto si può fare, ma va tenuto presente che non è lo spirito della norma: quando il privato presenta una dichiarazione, sulla sua base inizia una attività perché ha, in mano, un atto completo e perfetto. Se così non è non può esercitare l’attività, per cui non si tratta di completare della documentazione, ma di esercitare una attività sulla base di un atto imperfetto, incompleto, viziato e annullabile.
Ecco la sostanziale differenza con la disciplina precedente.
Se pensiamo ad una Scia edilizia siamo di fronte a un titolo che deve avere dei documenti essenziali senza i quali non è nemmeno riconoscibile e accettabile, per legge, come tale (pensiamo al progetto, alla dichiarazione della titolarità ad intervenire, alla rilevanza sismica, al Durc, e ai disegni, foto, quote, autorizzazione paesaggistica e altri atti rilasciati dalle amministrazioni competenti). Senza questi non si può parlare di Scia. Nel commercio si avranno altri documenti, quali quelli attestanti il possesso dei requisiti. Ove manchino non sono integrabili, semplicemente non vi è Scia, per cui non vi è il diritto ad iniziare l’attività ed è stata esibita una falsa dichiarazione.
Dobbiamo abituarci a pensare a una dichiarazione che è un atto privato che sostituisce, a tutti gli effetti, il lavoro amministrativo, compresa l’istruttoria e non può essere più trattato come si faceva prima con la Dia, della quale ha ereditato la sostanza privatistica.
Naturalmente di fronte ad depotenziamento totale della fase istruttoria, rimane, in capo alla p.a. il potere / dovere di controllare il contenuto della Scia medesima.

di Paola Minetti


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