di MARIO SPASIANO (dal Sole 24 Ore)
L’entrata in vigore del principio di risultato quale norma principe del codice appalti (d.lgs. 36/2023) aveva suscitato, in un clima di generalizzata sorpresa, reazioni contrastanti: da un lato, i detrattori che si appellavano ai rischi di violazione del principio di legalità o rilevavano, nel nuovo disposto normativo, un’inutile replica del principio costituzionale di buon andamento. Dall’altro lato, coloro che intravedevano nella positivizzazione del principio un passo importante nel processo di efficientamento della PA, ormai investita anche di compiti di garanzia dello sviluppo economico e sociale. La contrapposta visione non era nuova e il relativo dibattito tornava alla ribalta ogni qual volta il legislatore desse luogo a interventi legislativi che, nella prospettiva di semplificare e deburocratizzare, procedevano sulla via del taglio di procedimenti amministrativi, del ricorso a poteri sostitutivi commissariali, di sostituzione di autorizzazioni con modalità alternative (silenzio assenso, autocertificazioni) o, infine, di dequotazione dei vizi formali dell’atto. Le espressioni di avversità all’affermazione del principio di risultato hanno rinvenuto secca smentita nella sentenza della Corte Costituzionale n. 132/2024 che, nel legittimare il modello dell’amministrazione di risultato, ne ha precisato contenuto e contesto, fondando la motivazione sull’avvenuto passaggio da un’amministrazione di stampo liberale, tenuta a dare esecuzione alle leggi, ad un’amministrazione obbligata a raggiungere anche obiettivi strategici di carattere economico e sociale.
Anche il legislatore ha mostrato di continuare ad avallare il principio di risultato in occasione dell’approvazione del correttivo al codice (d.lgs. 209/2024), lasciando inalterato il suo ruolo di norma interpretativa-chiave del sistema. Il tema del risultato era ben vero emerso in giurisprudenza molto tempo prima dell’entrata in vigore del codice del 2023. La rilevata connessione dell’attività provvedimentale amministrativa rispetto a non trascurabili profili economico-finanziari aveva nel tempo, sebbene isolatamente, indotto il Consiglio di Stato (n. 5938/2008) e alcuni TAR (Milano n. 1428/2011 e Napoli n. 2616/2019) a varcare le soglie del tradizionale sindacato, affermando che l’invalidità dei provvedimenti dovesse ormai ritenersi dipendere oltre che «dalla mera difformità rispetto ad un parametro normativo, dalla devianza rispetto all’obiettivo il cui solo perseguimento legittima l’uso del potere da parte dell’autorità». L’entrata in vigore del Codice ha naturalmente prodotto una vera esplosione del ricorso al principio di risultato, portando il relativo sindacato, concentrato sulla stipulazione effettiva del contratto e sull’espletamento dell’appalto, ben oltre i limiti letterali della norma.
Subito, infatti, il Consiglio di Stato (sentenze 11322/2023 e 5217/2025) ha individuato almeno due ulteriori fattori estremamente rilevanti: il primo, che il risultato attiene anche alla qualità della prestazione, considerando le possibili ulteriori finalità che oggi è tenuto a perseguire il contratto pubblico, di tipo sociale (occupazionali, ambientali, di livelli di prestazione sociosanitaria, ecc.). Il secondo, che il risultato implica un’estensione del sindacato del giudice su nuovi profili di carattere sostanziale e di effettività del suo conseguimento (sentenza n. 1425/2025), così portando nel contesto della legittimità ambiti di discrezionalità dapprima ritenuti ad essa estranei. Il carattere immanente del principio di risultato ha poi indotto il giudice ad estendere la sua applicazione anche a procedure di gara regolate dalla disciplina previgente al codice del 2023 (Consiglio di Stato nn. 4996/2024 e 5789/2024).
Talune incertezze, invece, erano in avvio di codice sorte in relazione al rapporto tra risultato e altri principi del testo normativo: il giudice amministrativo, al riguardo, ha opportunamente chiarito che la considerazione del risultato non può comunque sovvertire le regole di svolgimento delle gare ed i concorrenti principi di par-condicio, autoresponsabilità e concorrenza, di fonte europea (Consiglio di Stato, nn. 3985/2024 e 7571/2024; inoltre, Corte UE 10 luglio 2012, in C-358/2012). Di certo, l’orientamento più diffuso è che il risultato è strumento interpretativo destinato a risolvere dubbi innanzi all’esercizio della discrezionalità, consentendo priorità a interessi pubblici a fronte del rispetto di formalismi che si rivelino privi di reali esigenze meritevoli di tutela (Consiglio di Stato, nn. 7870/2023 e 6495/2025). Le conseguenze che ne possono scaturire sono davvero molteplici e innovative, conducendo a conclusioni per nulla omologhe a quelle alle quali consentirebbe di pervenire la generica affermazione del principio di risultato quale portato della estensione della dequotazione dei vizi formali o una ripetitiva espressione del buon andamento. La portata finale del principio appare, invero, ancora tutta da scoprire e risulterà quanto più efficace con la sedimentazione di prassi interpretative che offrano adeguato grado di affidabilità e continuità a tutti gli operatori, condizione troppe volte trascurata nel sistema dei contratti pubblici.
* Articolo integrale pubblicato su Il Sole 24 Ore dell’11 dicembre 2025 (In collaborazione con Mimesi s.r.l.)
Il legittimo principio del risultato nel codice appalti
di MARIO SPASIANO (dal Sole 24 Ore)
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