Nota alla sentenza della Corte Costituzionale n.18 del 7.02.12 in materia di commercio e liberalizzazioni

Approfondimento di Pippo Sciscioli

17 Febbraio 2012
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E’ illegittima una disciplina normativa regionale che, ancorchè in astratto riconducibile alla materia del commercio di competenza legislativa delle Regioni, in concreto determini effetti distorsivi ed ostativi della concorrenza, inserendo di fatto nuovi ed ulteriori limiti e barriere all’accesso al mercato ed alla libera esplicazione della capacità imprenditoriale. Si è così espressa la Corte Costituzionale con la sentenza n.18 del 23 gennaio scorso, che ha censurato e cassato l’art.15 bis comma 4 della Legge Regionale n.5 del 2006 della Regione autonoma Sardegna, che subordinava la cessione di un attività commerciale su area pubblica, sia nella forma con posteggio fisso che itinerante, al decorso di un termine di tre anni dal rilascio dell’autorizzazione comunale.

Secondo la Consulta, tale disposizione normativa, emanata da una Regione a maggiore autonomia legislativa quale è appunto la Sardegna, pur rientrando nella materia del commercio, che in base al riparto di competenze effettuato dalla Costituzione, è preorogativa regionale, cozza con un altro principio ritenuto prevalente quale è la tutela della concorrenza.

Ciò determina la soccombenza del primo al secondo, atteso che la tutela della concorrenza è un principio “trasversale” prevalente, cioè che, a prescindere dall’oggetto specifico della materia in cui si cala, attrae la competenza statale legislativa.

In altre parole, ogni volta che la tutela della concorrenza viene in qualche modo interessata da una regolamentazione normativa, è lo Stato a dire l’ultima parola e non le Regioni. Il tutto, in omaggio ai principi del diritto comunitario che considerano la concorrenza un valore assoluto, meritevole di ogni tutela a scapito di diverse disposizioni degli Stati membri. La recente pronuncia dei giudici del Palazzo Spada è solo l’ultima, nel recente passato, ad intervenire e dirimere la vexata quaestio della competenza legislativa, contesa da Stato e Regioni, in ordine a materie come il commercio, la somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, i distributori di carburante, la relativa disciplina di orari e turni di chiusura, nelle quali le seconde rivendicano l’esclusività.

Tanto, in omaggio al conferimento di competenze sancito dalla riforma del titolo V^ della Costituzione ed al nuovo art.117 che- appunto- devolve tali materie alle Regioni. In realtà, la Corte- confermando un orientamento già formatosi prima della sentenza 18 dello scorso 23 gennaio afferma che, se ciò è vero ed innegabile, è altrettanto vero che la Costituzione stessa avoca all’esclusiva competenza dello Stato la tutela della concorrenza. A prescindere se ciò avvenga in materia di commercio, edilizia, artigianato, attività produttive. E questo perchè la libera esplicazione della capacità imprenditoriale e la tutela degli utenti, protetti a livello di lesiglazione europea, sono ritenuti principi inderogabili.

Da ultimo basti citare la sentenza n.300 del 10 novembre scorso, con cui la Corte era intervenuta al dirimere una questione sollevata con riferimento ad una legge della provincia autonoma di Bolzano in materia di sale gioco.

Anche in quella circostanza, la Corte aveva stabilito che gli enti locali non possono porre divieti o restrizioni assolute alla diffusione delle sale gioco, in quanto lesive della concorrenza e della capacità di affermazione imprenditoriale, potendo invece tali limitazioni essere giustificate solo dalla necessità di evitare che tali sale non sorgano vicini a scuole, parrocchie, ospedali ed in genere a luoghi frequentati da soggetti aventi una particolare suscettibilità psicologica.
Allo stesso risultato la Corte era pervenuta con la sentenza n.150/11 con cui aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcune disposizioni legislative della Regione Abruzzo che avevano limitato le aperture straordinarie delle attività commerciali. Insomma, viene ridimensionata la potestà legislativa delle Regioni e delle province autonome ogni volta che la stessa si confronti o intersechi la tutela della concorrenza, che costituisce una materia trasversalmente prevalente, sempre e comunque.
Ma al di là degli effetti immediatamente incidenti nel territorio della Regione Sardegna, l’ultimo intervento censorio della Corte Costituzionale, che ovviamente vale anche per tutte le ipotesi similari di altre Regioni, sembra anticipare l’attesa pronuncia sui ricorsi prodotti da alcune Regioni (Lombardia e Veneto) contro l’art.31 c.1 della Legge 214 del 22 dicembre 2011, di conversione del Decreto Legge del 6 dicembre, che dallo scorso 1 gennaio ha liberalizzato in tutta Italia e per tutti i Comuni, anche non turistici e d’arte, gli orari e i turni di chiusura delle attività commerciali, di somministrazione al pubblico di alimenti bevande, artigianali, ecc.
Una disposizione che ha cancellato oltre 40 anni di diversa legislazione nazionale e regionale, segnata da vincoli e limitazioni in materia soprattutto per esigenze di tutela del piccolo commercio e dei lavoratori interessati nel comparto.
Ma oggi la parola d’ ordine è stimolare la produttività, la libera esplicazione dell’attività imprenditoriale e la tutela della concorrenza che si dovrebbe risolvere in favore dei consumatori.
Per questo, è facile presumere che anche questa volta la Corte, seguendo la strada percorsa da ultimo con la sentenza n.18 emessa per la Regione Sardegna, dia ragione allo Stato ammonendo le Regioni da future normative che, pur emanate in materie di loro competenza, determino limitazioni ed ostacoli alla concorrenza.

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