E così, ancora una volta, il Consiglio di Stato si trova a ribadire, con la consueta solennità, che la tutela dei dati personali non è una concessione graziosa, ma una declinazione necessaria della dignità umana, dei diritti e delle libertà fondamentali della persona, da contemperare – e non da sacrificare – sull’altare della trasparenza amministrativa.
La Corte, nel motivare la propria decisione, riafferma un principio che da tempo guida l’equilibrio tra trasparenza e tutela dei dati personali.
L’accesso agli atti amministrativi resta un pilastro del controllo democratico, ma non può mai compromettere la riservatezza di informazioni che toccano aspetti profondamente personali.
La trasparenza, quindi, non si configura come un valore assoluto, ma come principio da applicare con misura, soprattutto quando emergono dati capaci di svelare, anche indirettamente, convinzioni o aspetti sensibili della vita di un individuo.
Nella fattispecie giudicata dal Consiglio di Stato, con la sentenza 4 aprile 2025, n. 2922, tale principio viene calato nella concreta dialettica tra i diversi soggetti coinvolti in una petizione popolare, ossia i promotori dell’iniziativa e i sottoscrittori della stessa, entrambi chiamati a confrontarsi con una richiesta di accesso ai dati personali raccolti e successivamente confluiti nella disponibilità della pubblica amministrazione. Ivi, la Corte, con acume, distingue nettamente le posizioni giuridiche dei due gruppi, riconoscendo a ciascuno una tutela specifica e autonoma, che si innesta su presupposti e finalità differenti.
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Ostensione sì, ostensione no: il valzer delle regole tra chi chiede, chi resiste e chi rischia secondo il Consiglio di Stato
Approfondimento di Domenico Trombino
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