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Con la sentenza n. 6720 del 3 aprile 2025, il TAR Lazio ha respinto il ricorso di una società del settore arredo, confermando la legittimità del provvedimento sanzionatorio dell’AGCM per pratiche commerciali scorrette e aggressive. Il Tribunale chiarisce che non è necessaria una condotta minacciosa per configurare l’aggressività: è sufficiente lo sfruttamento della posizione dominante che limiti i diritti dei consumatori. Centrale la rilevanza della tutela post vendita e dell’effettivo esercizio del recesso e della garanzia.
Pratiche commerciali scorrette: un concetto ampliato
La pronuncia del TAR Lazio ha offerto una lettura estensiva del concetto di pratica commerciale aggressiva ai sensi degli artt. 20, 24 e 25 del Codice del consumo (d.lgs. 206/2005). Il Tribunale ha stabilito che l’aggressività non richiede manifestazioni esplicite di minaccia o coercizione: è sufficiente l’abuso della posizione di forza del professionista, idoneo ad alterare, anche solo potenzialmente, la libertà di scelta del consumatore. In tale cornice, le numerose condotte contestate dall’Autorità Garante – consegna di prodotti difettosi, cattiva gestione del servizio post vendita, compressione dei diritti di garanzia e recesso – configurano una strategia commerciale complessiva e non una semplice serie di inadempimenti contrattuali.
Una strategia commerciale lesiva dei diritti del consumatore
Secondo il TAR, la gravità del comportamento contestato risiede nella sistematicità delle violazioni e nella natura aggressiva della gestione del post vendita. La società ricorrente, pur avendo riconosciuto il buono spesa come rimedio in caso di problematiche, avrebbe adottato politiche non trasparenti e limitative, escludendo il diritto di recesso anche in assenza dei presupposti di legge (come nel caso di beni non personalizzati) e subordinando la denuncia del vizio alla ristretta finestra dei sette giorni. La frequente mancata consegna di componenti e l’onere di controllo immediato imposto al cliente hanno aggravato il pregiudizio, generando un quadro in cui il professionista, anziché garantire la qualità del servizio, avrebbe imposto ostacoli sistemici all’esercizio dei diritti consumeristici.
L’istruttoria dell’Autorità e la legittimità della sanzione
La sentenza ha sottolineato come l’AGCM abbia svolto un’istruttoria approfondita, supportata da centinaia di migliaia di segnalazioni, documenti interni dell’azienda e analisi sul customer care. Gli errori nelle consegne, la gestione dilatoria dei reclami e l’adozione di prassi elusive nella garanzia e nel recesso configurano una condotta omissiva e colposa, in contrasto con gli obblighi di diligenza richiesti al professionista. L’elemento soggettivo dell’illecito è stato ritenuto sussistente per presunzione legale, non superata da elementi a discarico forniti dalla società. La sanzione, infine, è stata giudicata proporzionata in relazione al fatturato aziendale, alla durata della condotta e al numero dei consumatori coinvolti, con applicazione di una riduzione del 20% per la presenza di perdite nell’ultimo esercizio.
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