Stop al licenziamento del whistleblower anche se c’è la giusta causa

Italia Oggi
10 Maggio 2024
Scarica PDF Stampa
Modifica zoom
100%

di DARIO FERRARA (da Italia Oggi)

Stop al licenziamento del whistleblower, anche se l’addebito disciplinare non è direttamente collegato con le denunce che il dipendente pubblico ha proposto contro i superiori: bisogna infatti considerare il contesto in cui s’inseriscono la contestazione e il provvedimento espulsivo. Sbaglia allora il giudice del merito secondo cui l’esistenza di una causa che legittima il licenziamento renderebbe superfluo l’esame sulla natura ritorsiva del provvedimento: quando il lavoratore sostiene che il recesso è una vendetta, il datore deve comunque dimostrare la giusta causa o il giustificato motivo. E soltanto se l’onere è assolto anche formalmente spetta al dipendente documentare che la rappresaglia è l’unico fattore determinante del provvedimento. Così la Corte di cassazione civile, sez. lavoro, nella sentenza n. 12688 del 09/05/2024.

Danno erariale. Il ricorso proposto dal dirigente è accolto contro le conclusioni del sostituto procuratore generale presso la Suprema corte. I giudici del merito confermano il licenziamento adottato perché il responsabile di area dell’azienda speciale comunale non avrebbe curato l’impugnazione di un accertamento tributario di 4 milioni notificato alla società. Si ritiene sussistente la giusta causa in quanto il dirigente non avrebbe esercitato tutti i poteri necessari per fronteggiare la «delicata situazione» in cui si trovava l’azienda. Il punto è che secondo l’incolpato la competenza a impugnare l’atto impositivo è del direttore, cioè uno dei vertici aziendali che in precedenza il dirigente ha denunciato all’autorità anticorruzione, alla procura della Corte dei conti e alla prefettura, collaborando poi all’inchiesta dei magistrati tributari, sfociata in vari giudizi per grave danno erariale nei confronti dei superiori. Sbaglia allora la Corte dei conti a sorvolare sull’accertamento della violazione dell’articolo 54-bis del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165, laddove prevede l’obbligo di proteggere il dipendente che segnala illeciti come la corruzione nella pubblica amministrazione, trincerandosi dietro la sussistenza della giusta causa.

Scudo penale. Il whistleblowing non consente al datore di sottoporre chi denuncia a una reazione disciplinare, perfino se la condotta è rilevante sul piano penale, a patto che sia funzionale alla segnalazione dell’illecito. L’errore della Corte d’appello, dunque, sta nel non contestualizzare la vicenda in cui è maturato il licenziamento: il dirigente lamenta di essere stato prima ridimensionato e poi esautorato dopo le denunce contro i superiori, tanto da presentare nuovi esposti all’ANAC per lamentare le ritorsioni subite. La parola passa al giudice del rinvio.

Articolo integrale pubblicato su Italia Oggi del 10 maggio 2024 (In collaborazione con Mimesi s.r.l.)