Il vincolo della distanza da luoghi sensibili (scuole, ospedali, strutture sanitarie, chiese, ecc.) va osservato non solo dalle sale giochi e dai pubblici esercizi per l’installazione delle slot machine, autorizzate dai Comuni ai sensi degli articoli 86 e 110 c.6 Tulps, ma anche dalle sale scommesse (ippiche e sportive), autorizzate dalle Questure ai sensi dell’art.88 Tulps.
Anche queste ultime infatti sono potenzialmente fonti di rischio di diffusione della ludopatia, essendo lo scopo delle varie norme regionali e dei regolamenti comunali quello di arginare le conseguenze sociali (oltre che economiche) che tali attività possono provocare. Con la conseguenza che l’insediamento dei centri scommesse in violazione delle distanze fissate va vietato dai competenti organi comunali.
Si tratta di uno di quegli ambiti nei quali- in linea con la normativa comunitaria, a cominciare dalla Direttiva Servizi 123 del 2006- la libertà di fare impresa dei privati può essere condizionata o limitata dalle autorità pubbliche esclusivamente per motivi di utilità sociale, cioè per salvaguardare altri beni e valori sensibili ritenuti prevalenti.
Con queste motivazioni, il Consiglio di Stato con la sentenza n.7099 del 12 agosto scorso ha ritenuto legittimo il provvedimento con cui il Comune di Perugia aveva intimato ad una società la cessazione immediata dell’attività di raccolta scommesse per violazione delle norme del regolamento comunale sulla distanza da luoghi sensibili, al fine appunto di tutelare il diritto alla salute ex art.32 Cost. e per fronteggiare l’odioso fenomeno sociale della ludopatia.
Il percorso motivazionale è stato condiviso dai giudici di palazzo Spada, sul presupposto che sale giochi e sale scommesse non possono che essere assimilati sul fronte della lotta alla diffusione del gioco compulsivo, secondo una interpretazione logica e sistematica in relazione alla finalità di interesse generale perseguita dal legislatore in tale ambito e cioè la tutela dei soggetti e delle categorie considerate più vulnerabili. “Una diversa interpretazione porrebbe, inoltre, seri dubbi di costituzionalità derivanti non solo dall’apparente contrasto tra la legislazione regionale e quella nazionale (art. 7, comma 10, del decreto-legge, 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, in legge 8 novembre 2012, n. 189), nonché con l’art. 32 Cost. e con il diritto alla salute,
«che ovviamente prevale sul pur rilevante valore dell’art. 41 Cost., in quanto le attività economiche non possono svolgersi in contrasto con la tutela della dignità umana e con l’applicazione delle distanze rispetto ai luoghi sensibili proprio a tutela della salute dei soggetti più esposti al rischio della ludopatia, che costituisce una minaccia grave alla dignità della persona umana, meritevole della massima protezione proprio a difesa dell’integrità psicofisica dei soggetti più vulnerabili e, in quanto tali, esposti al rischio del gioco d’azzardo patologico» , si legge nella sentenza.
Infatti, le misure finalizzate alla prevenzione ed al contrasto di forme di dipendenza dal gioco d’azzardo, fra cui l’imposizione di una distanza minima delle sale giochi e scommesse dai luoghi c.d. sensibili o di orari massimi di apertura, rientrano a pieno titolo nella materia della tutela della salute e non possono che essere riferite ad entrambe le attività di gioco.
D’altronde, già il Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno con un’apposita Circolare del 19 marzo 2018, superando un precedente contrario orientamento, aveva espressamente sancito l’obbligo per le Questure, in sede di rilascio delle autorizzazioni ex art.88 Tulps per l’apertura di sale scommesse, di verificare preventivamente il regime delle distanze fissate da norme regionali o comunali che, in funzione di contrasto al gioco d’azzardo patologico, fissino limiti alla localizzazione.
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